palazzo lettimi
Un comparto urbano antichissimo attiguo al foro del castrum di fondazione della città, probabile sede del proscenio del teatro in periodo tardo imperiale; il palazzo risale all’inizio del sedicesimo secolo, con la strutturazione su due livelli; l’assetto che si stabilisce nella seconda metà del diciottesimo secolo e giunto fino alla condizione pre-bellica, vede l’innesto del terzo livello e la definizione di tutto l’apparato decorativo della facciata principale. I primi eventi distruttivi del 1943 compromettono irrimediabilmente la parte nord del corpo strada dell’edificio ma sono l’avvicendarsi di demolizioni e crolli, dovuti all’abbandono, fino al 1973, a ridurre l’edificio alla condizione attuale.
L’intervento è fondato sull’analisi ed il riconoscimento dei segni delle rovine presenti nel luogo, a queste si aggiunge il disegno simulato del sedime del teatro romano che potrebbe essere dissotterrato e svelare le fondazioni del proscenio.
A questa memoria discreta e specifica si addiziona una memoria continua e latente costituita da un carattere dell’architettura monumentale della città che viene definito _architettura duplice_.
Constatare che il Tempio Malatestiano sia un’opera grandemente più significativa del suo intrinseco valore didascalico e che questa dote risiede nell’approccio analitico che indaga il precedere del disegno della sua architettura e della sua costruzione è ben descritto nell’opera teorica dello stesso Alberti; la ricerca su quanto esiste, sotto gli aspetti costruttivi ma anche come significati e legami con alcuni contesti a più larga scala di tipo territoriale ed anche letterario, tendono ad evolvere l’architettura; l’operazione di addossare ad un edificio esistente un involucro nuovo rappresenta di per sé una tecnica già in grado di comprendere ed innescare questo processo.
Se certamente il disegno del Tempio Malatestiano è preceduto da un rilievo della composizione dei monumenti della città e da una ricerca sul reimpiego dell’antico in senso più ampio, credo altrettanto certo che l’approccio progettuale al disegno del fronte del Teatro Galli sia costituito dalla comprensione delle condizioni che hanno prodotto il Tempio Malatestiano e dalla riproposizione di queste in chiave analitica e non testuale.
Nonostante operasse in tutt’altro contesto culturale e temporale rispetto a quello di Alberti, a Poletti si deve accomunare con questo, almeno per la facciata del suo intervento riminese, una certa introspezione compositiva ed una operatività figurativa che origina da tutt’altro che da un eclettico gesto personale compositivo. L’uso della sovrapposizione in facciata di due sistemi costruttivi, rafforzati dalla dicotomia dei materiali impiegati: pietra e laterizio, celebrano la sovrapposizione delle architetture che compongono il tempio.
Ciò indica anche una linea operativa più generale sufficientemente efficace sul piano metodico da poter essere estesa anche ad altre questioni del progetto che si pongono contestualmente. Si tratta di un linea operativa che intende correlare la complessità e la ricchezza delle problematiche che ha di fronte senza eludere la qualità specifica delle scelte di linguaggio espressivo, decisivi nell’architettura che agisce sulle preesistenze.
In altra misura però non si deve scadere nell’illusione di poter ridurre tutto il progetto a determinare la soluzione di quesiti tecnici, pratici e funzionali. La proposta avanzata in questo intervento con l’edificio in vetro indica chiaramente che tali difficoltà non debbano venire nascoste o celate.
La soluzione sintetizzata esprime il dubbio da cui muove e la sua ragione di essere. Così, questo progetto contiene la rovina, la memoria e l’attuale intrinsecità di impossibilità espressiva, la dichiarazione d’inefficacia dell’opera nuova, che esisterà solo nella forma latente, incompiuta e infinita delle sue sovrapposizioni.
Nel contesto specifico dell’area Lettimi l’interesse archeologico maggiore risiede nella ricerca dello scenafronte e soprattutto del muro o dell’apparato del postscaenium.
Nella civitas romana il luogo sul retro della scena era in realtà il fronte aperto alla città, spesso era il tramite diretto alla città ed il luogo attivamente vissuto oltre i momenti degli spettacoli inscenati.
Si può immaginare uno smisurato scena-fronte come luogo dell’azione teatrale ed un postscaenium altrettanto imponente come luogo dell’azione cittadina. ll suo ruolo era insostituibile perché in realtà l’intero comparto scenico, fronte e retro, del teatro romano agiva urbanamente come edificio individuale e di integrazione: semplicemente mostrando interamente se stesso.
L’impianto concettuale proposto costituisce il presunto analogico da cui muove il progetto; esso si pone in maniera complessa come comunicatore delle stratigrafie non solo materiche ma anche storiche e storiografiche; a queste seguono ulteriori principi pratici, tecnici e costruttivi per l’elaborazione della soluzione finale.
Il primo di questi è il mantenimento delle parti residue del fabbricato originario, rimaste in condizioni strutturali e tipologiche tali da supportare ed integrare un progetto di architettura attuale. L’accostamento del vetro strutturale in contrasto linguistico e temporale con il laterizio dei ruderi approssima a prestazioni statiche ed ambientali una tensione formale che concorre ad evidenziare l’intervento di un’architettura costruita nel costruito.
Una facciata che, al contempo esprima l’evoluzione nel suo contesto, e che si annunci come architettura molteplice e continua, come narrazione dell’accrescimento urbano.
Tre livelli nella sezione trasversale del fronte principale: la porzione rimasta dell’edificio antico; una parte vuota; uno strato multiplo trasparente.
Nella fascia libera, che rileva la distanza tra il livello della facciata originaria e la nuova, si interpone la struttura autonoma in vetro ondulato addossato internamente allo strato trasparente che è l’elemento tecnologico che isola l’involucro edilizio dall’ambiente e si pone come livello permeabile tra interno ed esterno e tra edificio antico e sua espressione attuale.
Il ripristino di una porzione volumetrica del palazzo tra le componenti materiche più consistenti laddove poteva sorgere il luogo deputato alla socialità nella città romana, con il suo carattere ambivalente di limite e passaggio tra la vita reale e la scena teatrale ed ora tra l’interno dell’isolato dove sono di scena le radici della memoria ed il _fuori_ dove ancora passa la vita contemporanea; uniti da un edificio che permette la continuità percettiva e divisi da un materiale che assorbe la luce e la permea rifrangendola in condizione imprevedibile e mutevole.
Le molteplici caratteristiche del vetro: leggerezza, trasparenza, isolamento, riflesso, rifrazione, colore, possono contestualmente concorrere alla modifica estrema del concetto ordinario di spazio, variando il rapporto tra involucro e intorno, ribaltando la percezione della luce e dell’idea del riparo da essa.
I percorsi del parco archeologico sono stabiliti dalle fondazioni delle murature principali di palazzo Lettimi, queste, mantenute ad una quota più alta, innescano un misto stratigrafico con l’altro livello di fondazioni che, fondamentale, dovrebbe esistere del teatro romano; altri ipotetici accadimenti di epoche intermedie che hanno mantenuto celati resti materici di interesse si integrerebbero nel parco stabilendo la propria quota di elevazione.