una piramide in centro
Piramide a Rimini.
Il carattere primario dell’area è la sua permanenza come sedime per gran parte dell’assetto evolutivo della città; la direttrice di via Castelfidardo, la Strada Nuova, infatti è invariata dalla sua fondazione. Questo elemento individua una condizione indeterminabile in altro modo ovvero l’area di largo Gramsci, originando dalla linearità della direttrice di Strada Nuova, a questa si attesta fino alla condizione attuale ed è imprescindibilmente facente parte della città come condizione permanente della tessitura urbana.
Ciò che resta a questa analisi è il vuoto dell’isolato, un vuoto che di fronte ad un progetto, libera il campo da qualsiasi predisposizione storicistica. In questo contesto, consolidando il perimetro dell’area vuota, ogni approccio progettuale potrebbe trovare i significati più diversi. In tale situazione il progetto di architettura è costretto a ricercare altri elementi costitutivi ponendosi dinanzi ad uno sguardo nuovo della città, per potersi radicare e comporsi in una condizione ambientale e ideale poste ad una scala alternativa dal contesto limitrofo.
L’assenza degli “alti”, intesi come assenze di parti in elevazione delle architetture monumentali emergenti nella città di Rimini, è riletta nella vicenda ancestrale della cupola del Tempio Malatestiano, nella persistente mancanza della torre scenica del teatro Galli, e della equivoca privazione del parco archeologico dell’anfiteatro romano. Esiste così un asse continuo, una sezione urbana, che attraversa queste vacue emergenze monumentali come in un gioco, in apparenza infruttuoso, che sviluppa una linea chiave in ambito progettuale; questo stesso asse infatti taglia trasversalmente l’isolato di largo Gramsci, addizionando al sistema dei monumenti “non-alti” questo vuoto urbano.
Il progetta si pone come regolatore monumentale, come istitutore nella città di un edificio iconico, chiave nello sviluppo della città ed in continuità in questa linea interpretativa della scena urbana.
Questa lettura potenziale pone anche una svolta nell’innescare una serie di relazioni ponte tra la città e la marina, annoso problema, che configurerebbe Rimini come città intatta e non più come città interrotta. Questo avviene attraverso l’inserimento del monumento urbano, non come riconfigurazione di un antico mancante e immanente nella città ma come monumento energico e attivo della città. In questo senso si intende la definizione di dinamismo ambientale del monumento contemporaneo.
Perché inserire un edificio piramidale all’interno di una città così densamente stratificata? Le motivazioni a larga scala sono già state espresse nelle pagine precedenti, ciò che conduce a questa scelta è una successiva serie di analisi sui rapporti forma-significato intrinseci alla piramide come archetipo in architettura.
Dal punto di vista simbolico la piramide nasce come forma primaria per un monumento isolato, dedito alla evocazione funeraria; in realtà questa ha un’origine specificatamente tettonica che ben si applica all’edificio fuori scala, di sempre maggiori dimensioni, ma certamente a questo si affianca il simbolo e la capacità iconografica di stagliarsi e rendersi identificabile. In questo progetto l’intento di inserire, in un sistema urbano vasto, una figura primaria, essenzializza certamente l’intrinseca lettura poliedrica della piramide in architettura e la complessità della stratigrafia della città sedimentata.
La piramide di Rimini ha un’altezza di 36 metri, il rettangolo di base ha lati di misura 78 e 60 metri, lo sviluppo in elevazione è regolare. La base occupa pressoché il sedime dell’intero isolato. La complessività della forma piramidale costituisce di fatto una copertura permeabile al parco urbano sottostante; si alternano fasce di copertura orizzontali opache a fasce completamente libere al passaggio di luce e aria. Al si sotto di questa grande copertura si staglia la porzione di edificio chiuso lungo un asse ideale, che taglia la città e mette a sistema gli edifici monumentali “non-alti”.